Carceri. Tra le famiglie dei detenuti per portare l’amore di Dio
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Fare proprie le parole di Gesù nel Vangelo e metterle in pratica nella vita attraverso la carità: è questa la missione e lo stile di Alfonso Di Nicola, da anni accanto ai più fragili come sono, appunto, i detenuti, ma anche le loro famiglie: “Accompagniamo materialmente e spiritualmente anche i parenti che restano fuori senza chiedere nulla in cambio – racconta a Radio Vaticana Vatican News – cerchiamo di instaurare con loro una relazione di fraternità e di portare amore perché quando alle persone porti amore, porti Dio”.
“Sempre persona”, un’avventura lunga 30 anni
Il progetto “Sempre persona” avviato dall’associazione Azione per famiglie nuove, si pone l’obiettivo di aiutare i detenuti, gli ex detenuti e le loro famiglie a mantenere un rapporto attivo tra dentro e fuori e di accompagnare verso il reinserimento sociale con l’ascolto e la condivisione: “Ho iniziato 30 anni fa, quando un amico magistrato mi chiese di far qualcosa per stare vicino e voler bene a queste persone recluse – racconta ancora –, anche i Vic (volontari in carcere ndr) iniziavano allora, riuscii quindi a prendere l’articolo 17 e iniziai ad andare in carcere”. Alfonso inizia così a incarnare l’opera di misericordia corporale che recita di visitare i carcerati. “Andavo a Rebibbia per i colloqui e ci restavo dalle 9 di mattina alle 18 – ricorda – mi raccontavano le loro vicissitudini, il perché erano arrivati in carcere, poi si mettevano a piangere e io piangevo con loro”.
Il bene della famiglia è il bene del recluso
Poi i detenuti hanno iniziato a chiedere ad Alfonso qualcosa di più, di stare non solo accanto a loro ‘dentro’, ma anche ai cari che avevano lasciato ‘fuori’: “Non avevo nulla da offrire, così ho chiesto a un amico sacerdote che mi ha suggerito di raccontare la domenica nella sua parrocchia quello che facevo. ‘Vedrai che la gente è buona e ti aiuterà’, mi diceva e così è stato, molti detenuti oggi mi ringraziano per aver fatto visita alle mogli o i ai figli, per aver loro portato un aiuto, qualcosa da mangiare. La nostra vicinanza li fa stare più tranquilli e fa loro vivere una detenzione più serena se sanno che c’è qualcuno che non dimentica le loro famiglie”. Oggi i volontari come Alfonso sono circa 20 e seguono 130 nuclei familiari in diversi quartieri di Roma: “Non chiediamo loro la conversione, non chiediamo nulla, ma portiamo amore. L’amore è potente e fa bene a tutti”.
Il dramma dei bambini
Una delle questioni più calde quando si parla di affetti, è la questione dei bambini in carcere, recentemente tornata sotto i riflettori per il caso del bambino di due anni che vive al femminile di Rebibbia con la sua mamma – l’unico dell’istituto – che parla pochissimo e pronuncia parole legate alla sua condizione di vita ristretta. “Per lavorare con i bambini - conclude Di Nicola - bisogna stare con loro, far loro sentire che gli si vuole bene. Noi seguiamo una famiglia con otto figli, la mamma è in carcere, il papà non c’è. Hanno tanto bisogno di speranza e quella la si può donare, ancora una volta, soltanto con l’amore”.
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